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Li chiamano “eroina digitale”, paragonando uno svago che, per ore, incolla ragazzi e adulti allo schermo con la sostanza stupefacente più terribile in assoluto in termini di dipendenza, stiamo parlando dei videogames, un passatempo che tutti hanno provato almeno una volta nella vita.
Anche senza conferme ufficiali, ogni persona che ha a che fare con ragazzi e bambini sa bene quanto possa essere difficile convincerli ad abbandonare una partita al PC o alla PS per dedicarsi a un’attività diversa, magari all’aperto; basta osservarne lo sguardo rapito e passivo per rendersi conto che la loro attenzione è calamitata in modo assoluto e niente può distoglierla dallo schermo.
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Dipendenza da videogames come malattia
Dal 18 giugno 2018, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la ludopatia da videogames nella bozza dell’undicesima classificazione ICD, ossia la Classificazione Internazionale delle Malattie e dei problemi correlati, una mappa aggiornata delle patologie che colpiscono l’essere umano.
Gli addetti di tutti i settori, da quello sanitario a quello assicurativo, usano questa lista per individuare e definire i disturbi che analizzano. Un dizionario delle malattie che ne cataloga i sintomi e, a ogni edizione, li aggiorna secondo le nuove scoperte scientifiche.
La decima versione approvata risale al 1990 e quest’anticipazione permetterà agli stati membri di implementare il sistema sanitario secondo le linee indicate nella stesura provvisoria, per arrivare preparati all’Assemblea OMS che nel 2019 avrà il compito di ratificare il nuovo documento conclusivo.
Secondo il prof. Vladimir Poznyak, del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’OMS, che ha fortemente voluto l’inserimento della dipendenza da videogames nella lista ICD, medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali devono riconoscere la pericolosità di questa disfunzione e le ripercussioni che può avere sulla salute del paziente.
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Essere dipendenti e non saperlo
L’American Journal of Psychiatry ha pubblicato uno studio, dell’Oxford University Internet Institute, in cui osserva che solo il 2-3% dei 19.000 soggetti di indagine – uomini e donne residenti nel Regno Unito, in Canada, negli Stati Uniti e in Germania – ammette di aver sofferto di cinque o più sintomi elencati fra i nove segnali spia, individuati dall’Associazione americana di Psicologia, che indicano un disagio psicologico causato dai giochi on-line. Forse perché i giocatori compulsivi non ritengono di soffrire di un disturbo e sono convinti che la loro dipendenza sia un hobby come tanti altri.
Ansia, comportamento antisociale e sindrome da astinenza sono fra i sintomi manifestati dagli ossessionati dai videogames e la teoria che sostiene il contrario, cioè che sia un errore considerare questa una malattia vera e propria, viene sicuramente indebolita dalla mossa dell’OMS.
Secondo un sondaggio ESET, eseguito su 500 gamers, al 6% degli intervistati capita di passare anche 24 ore incollato allo schermo, mentre il 10% ne gioca dalle 12 alle 24. Sono risultati preoccupanti che, nonostante il fascino indiscusso del progresso informatico – arrivato a un livello che solo 30 anni fa era impensabile – lasciano moltissime questioni aperte.
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I sintomi
Nei casi patologici, il giocatore accanito dà al gioco priorità su tutti gli aspetti della sua esistenza, anche di fronte a conseguenze negative o cambiamenti nello stile di vita. Addirittura chi soffre di assuefazione da intrattenimento su dispositivi elettronici può sperimentare, nei casi particolarmente gravi, disturbi alimentari, del sonno e dell’attenzione ma anche un peggioramento generale della forma fisica.
Complessivamente, la dipendenza da videoschermo presenta caratteristiche simili a quella da gioco d’azzardo ed entrambe, senza l’uso di sostanze psicotrope, creano dei sintomi guaribili solo se affrontati clinicamente e, purtroppo, senza garanzie di guarigione.
Si parla di diagnosi certa solo se la manifestazione di disagio dura da almeno 12 mesi ma, in casi di eccezionale gravità, questa viene confermata anche di fronte a periodi inferiori.
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La cura
Il mondo virtuale crea una dipendenza fortissima, per combatterla è necessario limitare il tempo impiegato davanti allo schermo e mettere relazioni, hobbies, interessi e rapporti familiari in cima alla lista delle nostre attività, cioè preferire la vita vera a quella virtuale, cosa che fortunatamente fa l’83% degli intervistati da ESET.
La cura si effettua principalmente con una terapia cognitiva comportamentale, che include anche interventi sociali come il sostegno alle famiglie dei ludopatici e che, comunque, deve partire dalla comprensione del disagio e dall’individuazione degli strumenti utili a mitigarlo.
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Pro e contro dei videogames
Nonostante la pronuncia dell’OMS, una parte della comunità scientifica crede, al contrario, che sia un errore inserire questa condizione nella lista ICD, ritenendola un sintomo secondario di patologie già note, come l’ansia; qualche psicologo considera i videogames uno strumento efficace per controllare le manifestazioni di inquietudine dei depressi.
Molto dipende da che gioco si sceglie, da che realtà questo riproduce e dal perché si è scelto di giocarvi. Giochi aggressivi, come Gran Theft Auto o Manhunt, con immagini splatter, azioni crudeli e incitamento a comportamenti antisociali, dove il protagonista ruba, spaccia, uccide e commette violenze, stimolano sicuramente l’aggressività (l’ISIS lo ha capito e usa i videogiochi per reclutare giovani combattenti).
Altri games, invece, si rivelano addirittura istruttivi, come Civilization e Assassin’s Creed che, con le sue ricostruzioni storiche, può spingere l’utente (quello medio ha 30 anni) a voler approfondire l’argomento. Quelli giocati dalle comunità on-line, inoltre, aiutano a intessere una rete di conoscenze che può rivelarsi proficua ed evolvere nella vita reale.
Un aiuto nella scelta viene dal PEGI, il Pan European Game Information, il sistema europeo di classificazione dei videogiochi che, in base ai contenuti, segnala se in un gioco sono presenti linguaggio scurrile, violenza, discriminazione di genere o razza, uso di droga o altro.
In ogni caso, uscire a fare una passeggiata, praticare un’attività fisica, stare con gli amici, fare una gita o leggere un libro sono scelte che non passeranno mai di moda e a cui è utile ricorrere nei momenti particolarmente difficili.
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